La leccapiedi (parte 3)
di
Kugher
genere
dominazione
Matteo guardò divertito, ed eccitato, la ragazza che stava servendo gli ultimi clienti.
Diede un'occhiata all’orologio. In effetti era tardissimo.
“Perché non andiamo a cena insieme?”.
“Mi inviti perchè me la sono meritata?”
“No tesoro, perché voglio che, dopo, tu completi il servizio di leccaggio ai miei piedi che hai interrotto per servire quei due stranieri”.
“Presuntuoso”.
“No, solo eccitato”.
“Dai, muoviti, mamma mi ha insegnato ad essere gentile con gli anziani”.
“Mamma ti avrà anche insegnato a non uscire con gli sconosciuti…”
“Solo con quelli eccitanti”.
Si diressero ad un ristorante non molto lontano.
L’uomo fu molto affettuoso con la ragazza alla quale non faceva mai mancare una carezza delicata sul viso, mostrando un evidente piacere nella sua compagnia che nulla ha a che fare con l’erotismo, ma che lo anticipa pur potendo restare autonomo.
Cominciarono a pranzare. Il cibo era buono e la compagnia aveva rilassato entrambi, finché, con grandissima naturalezza, Matteo la spiazzò con una affermazione a bruciapelo.
“Sei una bravissima leccapiedi, mi ecciti molto”.
Non c’era spazio per i sentimenti diversi da un affetto e da quel senso di benessere nello stare assieme, pur sapendo che l’erotismo è un forte collante tra le persone che le rende esclusive, se vissuto bene nell’attenzione reciproca che vada sempre oltre alla mera attenzione per il solo corpo.
Anna smise di mangiare e, forchetta a mezz’aria, prima lo guardò, poi abbassò lo sguardo, imbarazzata, come se la frase sparata a mezz’aria, a gamba tesa, inaspettata, con quel tono dolce e delicato che nulla sapeva di erotismo, l’avesse spiazzata e messa a nudo.
Il tono di voce di quell’uomo aveva il potere di avvolgere, riscaldare e rilassare. Anche la voce di Anna aveva lo stesso effetto su Matteo.
Fece fatica ma, con serena serietà, ammise che era attratta dai suoi piedi o, meglio, da ciò che significava essere a terra, attratta da quel gioco di ruolo che le procurava brividi di eccitazione anche nell’attesa di ciò che sarebbe accaduto e che, sapeva, non avrebbe deciso lei.
Aveva una fantasia di appartenenza che non aveva mai soddisfatto appieno in quanto varil partner non le avevano mai trasmesso quel forte senso di possesso, di dominio. Forse troppo giovani o inesperti.
I pochi episodi erano però avvenuti su sua iniziativa e la sensazione era che fosse lei a condurre il gioco, trovando il ragazzo passivo nel farsi adorare e senza che avesse poi preso iniziativa incoraggiato dalla sua sottomissione.
Interruppero il discorso e parlarono di altro. La ragazza tornò a rilassarsi e ad abbassare quelle difese che istintivamente aveva alzate, perché un conto è giocare e leccare i piedi, altro è farsi trovare con l’anima nuda dei suoi desideri.
“Vieni questa sera a casa mia. Ti ordinerò di leccarmi i piedi, prostrata davanti a me, nuda”.
Per la ragazza fu lungo il viaggio verso l’abitazione di Matteo. Un percorso vissuto con la solitudine dei suoi pensieri pur nella rilassata e piacevole conversazione, domandandosi quali fossero i pensieri dell’uomo, ben conoscendo, però, i propri, attratta dal ruolo e da Matteo che le dava sicurezza e, perchè no, anche piacere nei dialoghi che si alternavano in quanto a profondità.
L’assenza di ogni ipotesi di sentimento particolare, che si fermava sulla soglia del loro rapporto, la lasciava serena e libera.
Ne avevano parlato, direttamente ed anche indirettamente, a mezzo di frasi non dette o di soglie non superate, più per reciproca convinzione che per espresso accordo.
Sorrise al pensiero di avere avuto, di fatto, l’invito per leccare i piedi di un uomo che, sicuramente, poi l’avrebbe usata per soddisfarsi sessualmente e, così facendo, soddisfare le sue speculari aspettative erotiche.
La casa era bella, al terzo piano di un palazzo signorile, piena di tappeti e quadri con un arredamento classico, di legno, che le trasmetteva serietà e sicurezza, che non stonava con le personalità del proprietario di casa. Una personalità che lei trovava interessante e rassicurante.
Le indicò un bagno con la sola vasca, dicendole che era molto più rilassante della doccia.
Era vero.
All’uscita, avvolta dall’accappotoio bianco e profumato, lo trovò in poltrona, intento a bere da un bicchiere la cui condensa evidenziava la temperatura del vino bianco all’interno.
Si era cambiato e i capelli ancora umidi indicavano che anche lui era passato da un altro bagno.
Si chiese quanto lei fosse rimasta a rilassarsi e a farsi coccolare dall’acqua calda con la complicità delle luci basse.
Pur se con abiti comodi, Matteo conservava una sua eleganza, anche solo nella postura.
Con un cenno del viso indicò il bicchiere.
“A te non lo offro, meglio che tu stia leggera, visto che devi stare piegata a terra”.
Dava per scontato che avrebbe svolto la funzione di leccapiedi.
La frase, ad invito, aveva lo scopo di evidenziare la differenza di ruolo.
Quella frase le chiuse la bocca dello stomaco perché l’aveva precipitata nella realtà, in un confronto con i suoi desideri, più diretto rispetto alle volte in cui tutto si era svolto come fosse un gioco.
Matteo le sorrideva.
“Inginocchiati”.
Non sembrava un ordine e nemmeno un invito.
Anche Anna sorrise quando si fece scivolare di dosso l'accappatoio restando nuda, ammirata dall’uomo nei cui occhi vedeva quello sguardo di possesso che altre volte, come in quel momento, l’eccitava.
Diede un'occhiata all’orologio. In effetti era tardissimo.
“Perché non andiamo a cena insieme?”.
“Mi inviti perchè me la sono meritata?”
“No tesoro, perché voglio che, dopo, tu completi il servizio di leccaggio ai miei piedi che hai interrotto per servire quei due stranieri”.
“Presuntuoso”.
“No, solo eccitato”.
“Dai, muoviti, mamma mi ha insegnato ad essere gentile con gli anziani”.
“Mamma ti avrà anche insegnato a non uscire con gli sconosciuti…”
“Solo con quelli eccitanti”.
Si diressero ad un ristorante non molto lontano.
L’uomo fu molto affettuoso con la ragazza alla quale non faceva mai mancare una carezza delicata sul viso, mostrando un evidente piacere nella sua compagnia che nulla ha a che fare con l’erotismo, ma che lo anticipa pur potendo restare autonomo.
Cominciarono a pranzare. Il cibo era buono e la compagnia aveva rilassato entrambi, finché, con grandissima naturalezza, Matteo la spiazzò con una affermazione a bruciapelo.
“Sei una bravissima leccapiedi, mi ecciti molto”.
Non c’era spazio per i sentimenti diversi da un affetto e da quel senso di benessere nello stare assieme, pur sapendo che l’erotismo è un forte collante tra le persone che le rende esclusive, se vissuto bene nell’attenzione reciproca che vada sempre oltre alla mera attenzione per il solo corpo.
Anna smise di mangiare e, forchetta a mezz’aria, prima lo guardò, poi abbassò lo sguardo, imbarazzata, come se la frase sparata a mezz’aria, a gamba tesa, inaspettata, con quel tono dolce e delicato che nulla sapeva di erotismo, l’avesse spiazzata e messa a nudo.
Il tono di voce di quell’uomo aveva il potere di avvolgere, riscaldare e rilassare. Anche la voce di Anna aveva lo stesso effetto su Matteo.
Fece fatica ma, con serena serietà, ammise che era attratta dai suoi piedi o, meglio, da ciò che significava essere a terra, attratta da quel gioco di ruolo che le procurava brividi di eccitazione anche nell’attesa di ciò che sarebbe accaduto e che, sapeva, non avrebbe deciso lei.
Aveva una fantasia di appartenenza che non aveva mai soddisfatto appieno in quanto varil partner non le avevano mai trasmesso quel forte senso di possesso, di dominio. Forse troppo giovani o inesperti.
I pochi episodi erano però avvenuti su sua iniziativa e la sensazione era che fosse lei a condurre il gioco, trovando il ragazzo passivo nel farsi adorare e senza che avesse poi preso iniziativa incoraggiato dalla sua sottomissione.
Interruppero il discorso e parlarono di altro. La ragazza tornò a rilassarsi e ad abbassare quelle difese che istintivamente aveva alzate, perché un conto è giocare e leccare i piedi, altro è farsi trovare con l’anima nuda dei suoi desideri.
“Vieni questa sera a casa mia. Ti ordinerò di leccarmi i piedi, prostrata davanti a me, nuda”.
Per la ragazza fu lungo il viaggio verso l’abitazione di Matteo. Un percorso vissuto con la solitudine dei suoi pensieri pur nella rilassata e piacevole conversazione, domandandosi quali fossero i pensieri dell’uomo, ben conoscendo, però, i propri, attratta dal ruolo e da Matteo che le dava sicurezza e, perchè no, anche piacere nei dialoghi che si alternavano in quanto a profondità.
L’assenza di ogni ipotesi di sentimento particolare, che si fermava sulla soglia del loro rapporto, la lasciava serena e libera.
Ne avevano parlato, direttamente ed anche indirettamente, a mezzo di frasi non dette o di soglie non superate, più per reciproca convinzione che per espresso accordo.
Sorrise al pensiero di avere avuto, di fatto, l’invito per leccare i piedi di un uomo che, sicuramente, poi l’avrebbe usata per soddisfarsi sessualmente e, così facendo, soddisfare le sue speculari aspettative erotiche.
La casa era bella, al terzo piano di un palazzo signorile, piena di tappeti e quadri con un arredamento classico, di legno, che le trasmetteva serietà e sicurezza, che non stonava con le personalità del proprietario di casa. Una personalità che lei trovava interessante e rassicurante.
Le indicò un bagno con la sola vasca, dicendole che era molto più rilassante della doccia.
Era vero.
All’uscita, avvolta dall’accappotoio bianco e profumato, lo trovò in poltrona, intento a bere da un bicchiere la cui condensa evidenziava la temperatura del vino bianco all’interno.
Si era cambiato e i capelli ancora umidi indicavano che anche lui era passato da un altro bagno.
Si chiese quanto lei fosse rimasta a rilassarsi e a farsi coccolare dall’acqua calda con la complicità delle luci basse.
Pur se con abiti comodi, Matteo conservava una sua eleganza, anche solo nella postura.
Con un cenno del viso indicò il bicchiere.
“A te non lo offro, meglio che tu stia leggera, visto che devi stare piegata a terra”.
Dava per scontato che avrebbe svolto la funzione di leccapiedi.
La frase, ad invito, aveva lo scopo di evidenziare la differenza di ruolo.
Quella frase le chiuse la bocca dello stomaco perché l’aveva precipitata nella realtà, in un confronto con i suoi desideri, più diretto rispetto alle volte in cui tutto si era svolto come fosse un gioco.
Matteo le sorrideva.
“Inginocchiati”.
Non sembrava un ordine e nemmeno un invito.
Anche Anna sorrise quando si fece scivolare di dosso l'accappatoio restando nuda, ammirata dall’uomo nei cui occhi vedeva quello sguardo di possesso che altre volte, come in quel momento, l’eccitava.
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