La gladiatrice Primo episodio
di
Davide Sebastiani
genere
dominazione
ATTENZIONE!!!! Questo racconto contiene scene di estrema violenza.
L'attesa iniziava a farsi spasmodica. Mi guardai intorno e un brivido mi
percorse la schiena. Ero abituato a rischiare la vita ma quel silenzio irreale
in quell'immenso capannone scelto per il luogo dell'appuntamento mi spaventava
non poco. Il capannone era completamente isolato, ero disarmato e mi sentivo
alla completa mercé delle persone che stavo per andare ad incontrare. La voce
al telefono era stata chiara. Sarei dovuto venire solo e senza armi e non era
il caso di rischiare trasmittenti. Il capannone era buio e stranamente freddo
per il clima di Los Angeles e dovetti alzare il bavero della giacca per
ripararmi dagli spifferi che mi gelavano il collo. O forse era solo la mia
tensione a farmi questi scherzi? Maledissi la mia testardaggine che mi aveva
portato fino a quel luogo e, in preda ad uno strano presentimento, stavo
seriamente vagliando l'ipotesi di andarmene da quel luogo. Guardai l'orologio
e mi accorsi che mancavano alcuni minuti al momento dell'appuntamento. Forse
ero ancora in tempo. Feci però solo due passi verso l'uscita quando sentii il
rumore di una macchina e poi lo stridio dei freni. Dovetti attendere solo
pochi secondi e poi quattro figure si stagliarono dinanzi all'ingresso del
capannone con le armi in pugno. Tre di loro le spianarono al mio indirizzo
mentre il quarto avanzò verso di me con qualcosa di scuro in mano. Arrivato a
meno di un metro potei cominciare a vederlo bene. Era alto e snello, con i
capelli cortissimi e non faticai a riconoscere la divisa che aveva indosso
avendo indossato qualcosa di simile anch'io per tanti anni, sia pure in corpi
differenti. Era, o meglio, aveva indosso, una divisa da soldato degli Stati
Uniti e mi sembrò di riconoscere in quella divisa il corpo dei paracadutisti.
La divisa era quella mimetica da combattimento anche se al primo impatto mi
sembrò che ci fosse qualche anomalia anche se non sapevo dire cosa fosse che
non andava. L'uomo mi gettò ciò che aveva in mano
" Mettilo" disse semplicemente. Afferrai l'oggetto e mi resi conto che si
trattava di un cappuccio
" E' necessario? Mi fa mancare l'aria" risposi, non tanto per cercare
un'ironia fuori luogo ma per tastare la reazione dei quattro. Il militare
prese con un rapido movimento la pistola nella sua fondina, tolse la sicura e
la puntò verso di me
" E' necessario. Mettilo" La reazione era stata da duro, da militare o da
qualcuno abituato a comportarsi come tale, considerando che i miei dubbi
sull'autenticità di quelle divise rimaneva. Pochissime parole e sguardo
sempre puntato nei miei confronti
" Ok, ok, ma piano con quelle armi" Indossai il cappuccio attendendo altri
ordini dal militare
" Ora allarga le gambe. Sto per sincerarmi che tu non possieda armi,
telefonini o trasmittenti"
" Procedi pure. Mi sono attenuto agli ordini del tizio al telefono e non ho
nulla indosso"
" Togliti la giacca" Mi tolsi la mia giacca e sentii le mani dell'uomo
tastarmi con professionalità alla ricerca degli oggetti che non potevo
portare con me e, al termine della perquisizione, attesi pazientemente che
l'uomo mi dicesse cosa fare
" Ehi amico, posso chiudere le gambe? Sto per fare una spaccata e non sono una
ballerina"
" Ti piace tanto fare lo spiritoso? Pazienta un po' e vedrai che ti passerà
la voglia. Comunque sì, chiudi le gambe e andiamo. Sei pulito" Sentii una mano
afferrarmi il braccio, condurmi al di fuori del capannone e poi guidarmi a
ridosso della vettura con la quale i quattro presunti militari erano arrivati.
Quando sentii quella mano spingermi per la nuca per farmi abbassare capii che
dovevo entrare nell'auto. Due dei militari si misero ai miei fianchi e gli
altri due probabilmente si sedettero sui sedili anteriori
" Ci vuole tanto per arrivare?" chiesi
" Stai zitto. Hai terminato le domande a disposizione e noi abbiamo terminato
le risposte. Goditi il viaggio in silenzio e non rompere più" Era stata la
solita voce a parlare e avevo capito che non avrei cavato un ragno dal buco e
cercai di rilassarmi pensando a quello che mi si prospettava. Ma cosa mi si
prospettava esattamente? Non potevo saperlo con certezza ma era abbastanza
facile intuire che avrei dovuto combattere e mi sentivo stranamente giù di
forze, malgrado avessi cercato di rimanere calmo di fronte ai quattro. Contro
chi avrei dovuto combattere? Mi immaginavo un colosso, un tizio di un paio di
metri con due spalle enormi, magari calvo e di colore. Ma chiunque fosse, non
avrebbe avuto vita facile contro di me. Sapevo lottare e quando ero un marine
al servizio dello zio Sam, avevo fatto un nugolo di combattimenti risultando
sempre vincente. Le mie specialitā ? Oh non ne avevo. Ero cintura nera di
karate ma me la cavavo bene anche col pugilato e con la thai-boxe e avevo
imparato qualche mossa di wrestling veramente interessante. Ero alto un metro
e ottantacinque, le spalle larghe e chiunque avessi incontrato, avrebbe dovuto
sputare l'anima per battermi. E allora perché tutta quella tensione? Perché
addirittura timore? Cercavo di dare una risposta a questi quesiti quando
sentii la vettura prima rallentare notevolmente e poi fermarsi. La solita voce
mi disse di scendere e quindi venni preso per un braccio da uno di quegli
uomini. Il cappuccio, il non poter vedere cosa accadeva al di fuori mi
angosciava. Non avevo nemmeno idea di quanto tempo fosse trascorso. Forse tre
quarti d'ora o poco più e se avevamo preso la direzione sud dovevamo trovarci
a metà strada con San Diego. Ma chissà, potevamo essere andati in qualunque
altra direzione. I quattro uomini continuavano a tacere e io riuscivo a
sentire soltanto il rumore dello scalpiccio dei nostri piedi sul terreno e
quindi il rumore di una porta automatica. Entrammo, sempre con quella mano che
era saldamente sul mio braccio e percorremmo una cinquantina di metri e
finalmente un'altra porta. L'uomo mi tolse di dosso la sua mano. Sembravamo
giunti al capolinea
" E' tutto suo, colonnello" disse la solita voce
" Bene, sergente Kilmer, buon lavoro" rispose il presunto colonnello e poi si
rivolse verso di me " Puoi toglierti il cappuccio" Feci quanto mi era stato
ordinato. Mi stropicciai gli occhi per riabituarli alla luce e finalmente
potevo vedere dove mi trovavo e chi mi stava dinanzi. L'uomo poteva avere
circa sessantacinque anni portati magnificamente anche se alcune rughe e i
capelli corti e bianchi mi davano la sensazione di quell'età. Il portamento
era altero, da vero militare e l'uniforme che indossava me ne dava la certezza
e riconobbi i gradi di colonnello, anche se in questo riconoscimento ero stato
aiutato dall'uomo che mi aveva accompagnato e che si era rivolto a lui
chiamandolo per grado. Anche la stanza mi era familiare, anche se in quella
dove mi trovavo in quel momento non avevo mai messo piede ma ne avevo
frequentate diverse; mi trovavo infatti in uno spogliatoio. L'uomo, il
colonnello, mi fece cenno di sedere sul letto posizionato a ridosso del muro
sopra il quale si trovava semplicemente un lenzuolo bianco. Vicino alla porta,
ancora con la sua pistola spianata verso di me c'era invece l'uomo che mi
aveva consegnato il cappuccio, il sergente Kilmer. Riconobbi anche gli odori
del classico spogliatoio, dalle creme oleose ai medicinali e poi, dopo aver
dato un'occhiata d'insieme al luogo, ritornai a guardare l'uomo di fronte a me
" Benvenuto Jason. Io sono il colonnello Thomas Cartright. Scusa il modo in
cui siamo stati costretti a prelevarti, ma la prudenza era necessaria, non
credi?" Annuii semplicemente e l'uomo proseguì "Bene, vedo che ne convieni.
Dunque, tu intendi vendicare tuo fratello, non è così?"
" Si, voglio trovarmi di fronte all'uomo che lo ha ucciso come un animale"
risposi
" Avrai la tua occasione di vendetta, anche perché ormai non puoi tirarti
più indietro. Spogliati e indossa poi quello che vuoi. In quell'angolo ci
sono tutti gli indumenti adatti per combattere. Tu in cosa eccelli?"
" Nel pugilato, nella thai-boxe e nel karate, ma so combattere anche in altri
ambiti"
" Benone! Puoi quindi indossare sia il kimono che il pantaloncino da pugilato.
Puoi decidere se combattere a piedi nudi o con i classici stivali pugilistici.
L'unica cosa che non ti è permessa sono i guantoni. Si combatte a mani nude.
Io vado a prepararmi per assistere allo spettacolo. Sergente Kilmer, quando il
nostro Jason è pronto, accompagnalo nell'arena" Il colonnello si dileguò e
io rimasi col sergente
" Chi è quello contro cui devo combattere? Lo conosci, Kilmer?"
" Oh si che conosco quella persona"
" Deve essere molto forte per aver ucciso mio fratello a mani nude. Io però
sono piu' bravo di quanto lo fosse Michael"
" Buon per te. Io però non scommetterei un centesimo su di te. La persona che
stai per affrontare è troppo forte per chiunque, su questo mondo. Sei
destinato a perdere, amico mio. Ma non farmi parlare troppo. Non posso dirti
altro. Preparati!" Si, la sensazione che mi fossi messo nel piu' grosso guaio
della mia vita aumentava a dismisura e continuavo a chiedermi chi me l'avesse
fatto fare, considerando che non ero il vero fratello di Michael e che nemmeno
lo conoscevo quello sventurato e il timore di fare quella stessa fine mi stava
divorando. Ormai però non potevo più fare nulla. Mi misi un pantaloncino da
boxe, cercai tra le scarpe un paio che potesse andar bene per la mia misura e
le infilai. Mi lasciai a torso nudo. Ero pronto
" Bene, sergente Kilmer, sono pronto per essere sacrificato sull'altare"
" Bisogna vedere se gli Dei lo vogliono. Dipende tutto da loro. Potresti anche
rivedere il sole domattina, se sarai fortunato"
" Cosa vuol dire questa frase?" chiesi stupito. Cosa significava
" Basta! Non farmi dire altro. Pochi secondi e lo scoprirai" Il sergente
Kilmer, sempre con la sua arma spianata verso di me, mi fece cenno di aprire
una porta e quindi di incamminarmi verso un corridoio molto breve, di circa
una decina di metri. Vedevo già le luci e sentivo il rumore assordante della
folla. La porta che conduceva verso questa luce era aperta e, appena arrivai
alla fine del corridoio, rimasi a bocca aperta. L'uomo mi spinse dentro e io
alzai la testa in alto. Oh mio Dio, dove diavolo mi trovavo? Ero all’interno di un’arena perfettamente circolare sormontata da muri di cemento e sopra quei muri ...Cosa c'era sopra quei muri? Come descrivere quelle cose che si stagliavano
sopra questa strana arena? Sembrava trattarsi di cabine o, meglio ancora, di
piccoli palchi di teatro preposti per una sola persona protetti da vetri
oscurati che si susseguivano senza sosta circondando l'arena intera. Quante
potevano essere? Feci un rapido calcolo e mi accorsi che dovevano arrivare a
un centinaio, forse proprio alla cifra tonda. Sempre con lo sguardo in alto,
osservai gli altoparlanti da cui provenivano, probabilmente preregistrati, i
rumori della folla e quindi guardai i potenti riflettori che illuminavano a
giorno questa specie di anfiteatro e poi, in mezzo a quei riflettori, un
tabellone elettronico spento ma con due scritte visibili che mi gelarono il
sangue nelle vene. Ecco le due parole che mi fecero sussultare
e capire meglio le parole del sergente Kilmer. Erano
dunque le misteriose persone che si celavano dietro quei vetri gli dei? Quelli
che al termine della lotta avrebbero deciso se lo sconfitto doveva vivere o
morire? Accanto a quelle due parole un doppio zero e non mi ci volle molto a
capire che quello era il punteggio. Ecco come era morto Michael, quel
poveretto. Evidentemente, gli uomini misteriosi dietro ai vetri non lo avevano
ritenuto degno di vivere. Un ragazzo di nemmeno trent'anni. Bastardi! E su
cosa si basavano per prendere questa decisione? Forse del coraggio dimostrato?
O chissà per cos'altro. Qualunque cosa fosse, mi trovavo nella situazione di
un gladiatore nell'antica Roma, pronto a lottare per la vita e nella speranza
che l'imperatore non gli facesse pollice verso. Ora dovevo solo attendere che
facesse il suo ingresso il mio antagonista.
Fine primo episodio
Per commentare, scrivete a
davidmuscolo@tiscali.it
L'attesa iniziava a farsi spasmodica. Mi guardai intorno e un brivido mi
percorse la schiena. Ero abituato a rischiare la vita ma quel silenzio irreale
in quell'immenso capannone scelto per il luogo dell'appuntamento mi spaventava
non poco. Il capannone era completamente isolato, ero disarmato e mi sentivo
alla completa mercé delle persone che stavo per andare ad incontrare. La voce
al telefono era stata chiara. Sarei dovuto venire solo e senza armi e non era
il caso di rischiare trasmittenti. Il capannone era buio e stranamente freddo
per il clima di Los Angeles e dovetti alzare il bavero della giacca per
ripararmi dagli spifferi che mi gelavano il collo. O forse era solo la mia
tensione a farmi questi scherzi? Maledissi la mia testardaggine che mi aveva
portato fino a quel luogo e, in preda ad uno strano presentimento, stavo
seriamente vagliando l'ipotesi di andarmene da quel luogo. Guardai l'orologio
e mi accorsi che mancavano alcuni minuti al momento dell'appuntamento. Forse
ero ancora in tempo. Feci però solo due passi verso l'uscita quando sentii il
rumore di una macchina e poi lo stridio dei freni. Dovetti attendere solo
pochi secondi e poi quattro figure si stagliarono dinanzi all'ingresso del
capannone con le armi in pugno. Tre di loro le spianarono al mio indirizzo
mentre il quarto avanzò verso di me con qualcosa di scuro in mano. Arrivato a
meno di un metro potei cominciare a vederlo bene. Era alto e snello, con i
capelli cortissimi e non faticai a riconoscere la divisa che aveva indosso
avendo indossato qualcosa di simile anch'io per tanti anni, sia pure in corpi
differenti. Era, o meglio, aveva indosso, una divisa da soldato degli Stati
Uniti e mi sembrò di riconoscere in quella divisa il corpo dei paracadutisti.
La divisa era quella mimetica da combattimento anche se al primo impatto mi
sembrò che ci fosse qualche anomalia anche se non sapevo dire cosa fosse che
non andava. L'uomo mi gettò ciò che aveva in mano
" Mettilo" disse semplicemente. Afferrai l'oggetto e mi resi conto che si
trattava di un cappuccio
" E' necessario? Mi fa mancare l'aria" risposi, non tanto per cercare
un'ironia fuori luogo ma per tastare la reazione dei quattro. Il militare
prese con un rapido movimento la pistola nella sua fondina, tolse la sicura e
la puntò verso di me
" E' necessario. Mettilo" La reazione era stata da duro, da militare o da
qualcuno abituato a comportarsi come tale, considerando che i miei dubbi
sull'autenticità di quelle divise rimaneva. Pochissime parole e sguardo
sempre puntato nei miei confronti
" Ok, ok, ma piano con quelle armi" Indossai il cappuccio attendendo altri
ordini dal militare
" Ora allarga le gambe. Sto per sincerarmi che tu non possieda armi,
telefonini o trasmittenti"
" Procedi pure. Mi sono attenuto agli ordini del tizio al telefono e non ho
nulla indosso"
" Togliti la giacca" Mi tolsi la mia giacca e sentii le mani dell'uomo
tastarmi con professionalità alla ricerca degli oggetti che non potevo
portare con me e, al termine della perquisizione, attesi pazientemente che
l'uomo mi dicesse cosa fare
" Ehi amico, posso chiudere le gambe? Sto per fare una spaccata e non sono una
ballerina"
" Ti piace tanto fare lo spiritoso? Pazienta un po' e vedrai che ti passerà
la voglia. Comunque sì, chiudi le gambe e andiamo. Sei pulito" Sentii una mano
afferrarmi il braccio, condurmi al di fuori del capannone e poi guidarmi a
ridosso della vettura con la quale i quattro presunti militari erano arrivati.
Quando sentii quella mano spingermi per la nuca per farmi abbassare capii che
dovevo entrare nell'auto. Due dei militari si misero ai miei fianchi e gli
altri due probabilmente si sedettero sui sedili anteriori
" Ci vuole tanto per arrivare?" chiesi
" Stai zitto. Hai terminato le domande a disposizione e noi abbiamo terminato
le risposte. Goditi il viaggio in silenzio e non rompere più" Era stata la
solita voce a parlare e avevo capito che non avrei cavato un ragno dal buco e
cercai di rilassarmi pensando a quello che mi si prospettava. Ma cosa mi si
prospettava esattamente? Non potevo saperlo con certezza ma era abbastanza
facile intuire che avrei dovuto combattere e mi sentivo stranamente giù di
forze, malgrado avessi cercato di rimanere calmo di fronte ai quattro. Contro
chi avrei dovuto combattere? Mi immaginavo un colosso, un tizio di un paio di
metri con due spalle enormi, magari calvo e di colore. Ma chiunque fosse, non
avrebbe avuto vita facile contro di me. Sapevo lottare e quando ero un marine
al servizio dello zio Sam, avevo fatto un nugolo di combattimenti risultando
sempre vincente. Le mie specialitā ? Oh non ne avevo. Ero cintura nera di
karate ma me la cavavo bene anche col pugilato e con la thai-boxe e avevo
imparato qualche mossa di wrestling veramente interessante. Ero alto un metro
e ottantacinque, le spalle larghe e chiunque avessi incontrato, avrebbe dovuto
sputare l'anima per battermi. E allora perché tutta quella tensione? Perché
addirittura timore? Cercavo di dare una risposta a questi quesiti quando
sentii la vettura prima rallentare notevolmente e poi fermarsi. La solita voce
mi disse di scendere e quindi venni preso per un braccio da uno di quegli
uomini. Il cappuccio, il non poter vedere cosa accadeva al di fuori mi
angosciava. Non avevo nemmeno idea di quanto tempo fosse trascorso. Forse tre
quarti d'ora o poco più e se avevamo preso la direzione sud dovevamo trovarci
a metà strada con San Diego. Ma chissà, potevamo essere andati in qualunque
altra direzione. I quattro uomini continuavano a tacere e io riuscivo a
sentire soltanto il rumore dello scalpiccio dei nostri piedi sul terreno e
quindi il rumore di una porta automatica. Entrammo, sempre con quella mano che
era saldamente sul mio braccio e percorremmo una cinquantina di metri e
finalmente un'altra porta. L'uomo mi tolse di dosso la sua mano. Sembravamo
giunti al capolinea
" E' tutto suo, colonnello" disse la solita voce
" Bene, sergente Kilmer, buon lavoro" rispose il presunto colonnello e poi si
rivolse verso di me " Puoi toglierti il cappuccio" Feci quanto mi era stato
ordinato. Mi stropicciai gli occhi per riabituarli alla luce e finalmente
potevo vedere dove mi trovavo e chi mi stava dinanzi. L'uomo poteva avere
circa sessantacinque anni portati magnificamente anche se alcune rughe e i
capelli corti e bianchi mi davano la sensazione di quell'età. Il portamento
era altero, da vero militare e l'uniforme che indossava me ne dava la certezza
e riconobbi i gradi di colonnello, anche se in questo riconoscimento ero stato
aiutato dall'uomo che mi aveva accompagnato e che si era rivolto a lui
chiamandolo per grado. Anche la stanza mi era familiare, anche se in quella
dove mi trovavo in quel momento non avevo mai messo piede ma ne avevo
frequentate diverse; mi trovavo infatti in uno spogliatoio. L'uomo, il
colonnello, mi fece cenno di sedere sul letto posizionato a ridosso del muro
sopra il quale si trovava semplicemente un lenzuolo bianco. Vicino alla porta,
ancora con la sua pistola spianata verso di me c'era invece l'uomo che mi
aveva consegnato il cappuccio, il sergente Kilmer. Riconobbi anche gli odori
del classico spogliatoio, dalle creme oleose ai medicinali e poi, dopo aver
dato un'occhiata d'insieme al luogo, ritornai a guardare l'uomo di fronte a me
" Benvenuto Jason. Io sono il colonnello Thomas Cartright. Scusa il modo in
cui siamo stati costretti a prelevarti, ma la prudenza era necessaria, non
credi?" Annuii semplicemente e l'uomo proseguì "Bene, vedo che ne convieni.
Dunque, tu intendi vendicare tuo fratello, non è così?"
" Si, voglio trovarmi di fronte all'uomo che lo ha ucciso come un animale"
risposi
" Avrai la tua occasione di vendetta, anche perché ormai non puoi tirarti
più indietro. Spogliati e indossa poi quello che vuoi. In quell'angolo ci
sono tutti gli indumenti adatti per combattere. Tu in cosa eccelli?"
" Nel pugilato, nella thai-boxe e nel karate, ma so combattere anche in altri
ambiti"
" Benone! Puoi quindi indossare sia il kimono che il pantaloncino da pugilato.
Puoi decidere se combattere a piedi nudi o con i classici stivali pugilistici.
L'unica cosa che non ti è permessa sono i guantoni. Si combatte a mani nude.
Io vado a prepararmi per assistere allo spettacolo. Sergente Kilmer, quando il
nostro Jason è pronto, accompagnalo nell'arena" Il colonnello si dileguò e
io rimasi col sergente
" Chi è quello contro cui devo combattere? Lo conosci, Kilmer?"
" Oh si che conosco quella persona"
" Deve essere molto forte per aver ucciso mio fratello a mani nude. Io però
sono piu' bravo di quanto lo fosse Michael"
" Buon per te. Io però non scommetterei un centesimo su di te. La persona che
stai per affrontare è troppo forte per chiunque, su questo mondo. Sei
destinato a perdere, amico mio. Ma non farmi parlare troppo. Non posso dirti
altro. Preparati!" Si, la sensazione che mi fossi messo nel piu' grosso guaio
della mia vita aumentava a dismisura e continuavo a chiedermi chi me l'avesse
fatto fare, considerando che non ero il vero fratello di Michael e che nemmeno
lo conoscevo quello sventurato e il timore di fare quella stessa fine mi stava
divorando. Ormai però non potevo più fare nulla. Mi misi un pantaloncino da
boxe, cercai tra le scarpe un paio che potesse andar bene per la mia misura e
le infilai. Mi lasciai a torso nudo. Ero pronto
" Bene, sergente Kilmer, sono pronto per essere sacrificato sull'altare"
" Bisogna vedere se gli Dei lo vogliono. Dipende tutto da loro. Potresti anche
rivedere il sole domattina, se sarai fortunato"
" Cosa vuol dire questa frase?" chiesi stupito. Cosa significava
" Basta! Non farmi dire altro. Pochi secondi e lo scoprirai" Il sergente
Kilmer, sempre con la sua arma spianata verso di me, mi fece cenno di aprire
una porta e quindi di incamminarmi verso un corridoio molto breve, di circa
una decina di metri. Vedevo già le luci e sentivo il rumore assordante della
folla. La porta che conduceva verso questa luce era aperta e, appena arrivai
alla fine del corridoio, rimasi a bocca aperta. L'uomo mi spinse dentro e io
alzai la testa in alto. Oh mio Dio, dove diavolo mi trovavo? Ero all’interno di un’arena perfettamente circolare sormontata da muri di cemento e sopra quei muri ...Cosa c'era sopra quei muri? Come descrivere quelle cose che si stagliavano
sopra questa strana arena? Sembrava trattarsi di cabine o, meglio ancora, di
piccoli palchi di teatro preposti per una sola persona protetti da vetri
oscurati che si susseguivano senza sosta circondando l'arena intera. Quante
potevano essere? Feci un rapido calcolo e mi accorsi che dovevano arrivare a
un centinaio, forse proprio alla cifra tonda. Sempre con lo sguardo in alto,
osservai gli altoparlanti da cui provenivano, probabilmente preregistrati, i
rumori della folla e quindi guardai i potenti riflettori che illuminavano a
giorno questa specie di anfiteatro e poi, in mezzo a quei riflettori, un
tabellone elettronico spento ma con due scritte visibili che mi gelarono il
sangue nelle vene. Ecco le due parole che mi fecero sussultare
e capire meglio le parole del sergente Kilmer. Erano
dunque le misteriose persone che si celavano dietro quei vetri gli dei? Quelli
che al termine della lotta avrebbero deciso se lo sconfitto doveva vivere o
morire? Accanto a quelle due parole un doppio zero e non mi ci volle molto a
capire che quello era il punteggio. Ecco come era morto Michael, quel
poveretto. Evidentemente, gli uomini misteriosi dietro ai vetri non lo avevano
ritenuto degno di vivere. Un ragazzo di nemmeno trent'anni. Bastardi! E su
cosa si basavano per prendere questa decisione? Forse del coraggio dimostrato?
O chissà per cos'altro. Qualunque cosa fosse, mi trovavo nella situazione di
un gladiatore nell'antica Roma, pronto a lottare per la vita e nella speranza
che l'imperatore non gli facesse pollice verso. Ora dovevo solo attendere che
facesse il suo ingresso il mio antagonista.
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