La gladiatrice Sesto episodio
di
Davide Sebastiani
genere
dominazione
Gli abiti che mi aveva dato Alejandro sembravano essere proprio della mia
taglia. Si trattava di un pantalone di cotone blu molto comodo e di una
camicia a maniche lunghe bianca con stivali da cow boy a completare il mio
nuovo look. Joe guardò l'ora nervosamente e poi mi apostrofò
" Ancora un minuto e scendo. Datti una mossa Jason. Alle venti in punto Sonja
fa il suo ingresso per la cena e se non trova tutto in ordine qualcuno ci
rimette la pelle e non voglio essere io quel qualcuno" Guardai anch'io
l'orologio e poi guardai Jason meravigliato
" Manca più di un'ora. Calmati"
" No, non mi calmo invece. Ma cosa credi? Che siamo invitati a una festa?
Dobbiamo mangiare solo noi uomini e poi attendere l'arrivo di Sonja. Oppure
credevi che lei si sarebbe messa al nostro tavolo e avrebbe mangiato con noi
in modo amichevole? C'e' tutto un rituale, amico. Alle venti in punto lei
scende nel salone e se non ci trova inginocchiati ai suoi piedi ... Ma che
insisto a fare? Ancora non hai capito chi abbiamo di fronte? Quella non è una
donna, Jason. Quella e' una macchina da guerra, è ... Oh cazzo, non riesco
nemmeno a trovare le parole giuste"
" Ok, ok, scendo" risposi prima che il povero Joe si facesse prendere da una
crisi di nervi. Era terrorizzato e nella mia vita non mi era mai accaduto di
avere a che fare con qualcuno in quelle condizioni psichiche. Nemmeno quando
mi ero trovato in Iraq. Oh sì, ce ne erano stati molti di uomini con la paura
addosso e io ero uno di quelli. Non un codardo ma un uomo che aveva il giusto
timore di trovarsi in guerra, in un paese straniero e per molti versi nemico.
Ma lì c'era un nemico da affrontare e quindi c'era la possibilità di
difendersi e contrattaccare. In questo caso invece, il terrore di Joe era
dovuto a qualcosa che lui sapeva per certo di non esser in grado di affrontare
e che io, malgrado le lunghe spiegazioni dello stesso Joe e malgrado l'avessi
visto proprio su me stesso, ancora non ero in grado di percepire
perfettamente. Quel qualcosa aveva un nome e quel nome era Sonja. Ne aveva
paura anch'io, ovviamente. Come non aver paura di un essere umano con quelle
straordinarie capacità? Ma evidentemente, contro di me l'avevo vista
all'opera con il freno a mano tirato e non avevo ancora la percezione esatta
di ciò che era in grado di fare. Si, sapevo che poteva uccidermi e che non si
sarebbe fatta scrupolo di farlo, ma non riuscivo ad avere tutto quel terrore
che avevano i miei compagni di sventura. O meglio, quel terrore era mascherato
da una certa ammirazione che provavo per quella donna e da poliziotto mi
vergognavo di provare ammirazione per un'assassina senza scrupoli, ma era
quello che sentivo realmente. Ne ammiravo la bellezza, ne ammiravo la
sensualità e non per ultimo, ne ammiravo la potenza e questa sensazione non
mi piaceva per niente.
Scendemmo le scale e i nostri compagni erano già quasi tutti nell'enorme
cucina. Notai Alejandro ma contandoli mi accorsi che ne mancava uno. Come mai?
Mi guardai intanto intorno. L'arredamento era molto spartano. La cucina era in
legno massiccio e in mezzo c'era un tavolo rettangolare per una decina di
persone. I due addetti alla cucina che, come mi avevano detto, cambiavano ogni
giorno, avevano preparato alcuni pentoloni in stile militare e gli altri si
servivano da soli. Il tutto in perfetto silenzio, con tutti gli uomini con le
facce basse quasi da automi. Joe mi fece cenno di seguirlo e io mi avviai
verso i vari pentoloni, afferrai dei piatti e delle posate e mi versai della
minestra portandola al tavolo e quindi rifeci la stessa operazione versandomi
nel piatto una porzione abbondante di pollo e delle verdure. Almeno non sarei
morto di fame. Il sapore non era da ristorante a cinque stelle ma era
senz'altro discreto e iniziai a mangiare la minestra con molto appetito
" E' buona, no?" chiesi a Joe, più che altro per intavolare un discorso
" Si, è mangiabile" fu la breve risposta
" Senti amico, ma come mai siamo soltanto in otto? Più Alejandro
naturalmente"
" Manca Tony. Oggi lui e' l'addetto alla sorveglianza delle telecamere interne
ed esterne e ci sarà qualcuno che deve portargli da mangiare. Nessuno può
abbandonare nemmeno per un secondo la visione dei monitor"
" E come mai? Di cosa ha paura Sonja?"
" Ah, non dirlo a me. Ci sono telecamere interne ed esterne e, per quanto
riguarda quelle interne, ti ho già spiegato come servono per prevenire
eventuali fughe"
" Ci sono anche telecamere esterne?" feci sbigottito "E cosa c'è all'esterno?
Cosa si vede?"
" Ancora non sei convinto dell'impossibilità di una fuga, vero? Beh, non c'è
niente che possa interessarti, a meno che tu non sia un appassionato di
botanica. Alberi e ancora alberi"
" Era solo per curiosità" risposi meccanicamente ma la mia mente era già
proiettata oltre. Forse c'era un buco nel sistema di Sonja. Sapevo che
abitualmente erano in due a farsi carico della sorveglianza e mettersi
d'accordo con l'altro era impossibile, considerando il terrore che tutti
avevano delle conseguenze. Ma c'era appunto un momento in cui il sorvegliante
rimaneva da solo ed era quello dei pasti e quello poteva essere un ottimo
momento per organizzare un eventuale fuga. C'era ancora da capire in che modo
potessi scavalcare il muro e soprattutto la rete elettrificata ma il mio umore
era già migliorato al solo pensiero di aver trovato un'ipotetica via di fuga.
Per commenti, scrivete a
davidmuscolo@tiscali.it
taglia. Si trattava di un pantalone di cotone blu molto comodo e di una
camicia a maniche lunghe bianca con stivali da cow boy a completare il mio
nuovo look. Joe guardò l'ora nervosamente e poi mi apostrofò
" Ancora un minuto e scendo. Datti una mossa Jason. Alle venti in punto Sonja
fa il suo ingresso per la cena e se non trova tutto in ordine qualcuno ci
rimette la pelle e non voglio essere io quel qualcuno" Guardai anch'io
l'orologio e poi guardai Jason meravigliato
" Manca più di un'ora. Calmati"
" No, non mi calmo invece. Ma cosa credi? Che siamo invitati a una festa?
Dobbiamo mangiare solo noi uomini e poi attendere l'arrivo di Sonja. Oppure
credevi che lei si sarebbe messa al nostro tavolo e avrebbe mangiato con noi
in modo amichevole? C'e' tutto un rituale, amico. Alle venti in punto lei
scende nel salone e se non ci trova inginocchiati ai suoi piedi ... Ma che
insisto a fare? Ancora non hai capito chi abbiamo di fronte? Quella non è una
donna, Jason. Quella e' una macchina da guerra, è ... Oh cazzo, non riesco
nemmeno a trovare le parole giuste"
" Ok, ok, scendo" risposi prima che il povero Joe si facesse prendere da una
crisi di nervi. Era terrorizzato e nella mia vita non mi era mai accaduto di
avere a che fare con qualcuno in quelle condizioni psichiche. Nemmeno quando
mi ero trovato in Iraq. Oh sì, ce ne erano stati molti di uomini con la paura
addosso e io ero uno di quelli. Non un codardo ma un uomo che aveva il giusto
timore di trovarsi in guerra, in un paese straniero e per molti versi nemico.
Ma lì c'era un nemico da affrontare e quindi c'era la possibilità di
difendersi e contrattaccare. In questo caso invece, il terrore di Joe era
dovuto a qualcosa che lui sapeva per certo di non esser in grado di affrontare
e che io, malgrado le lunghe spiegazioni dello stesso Joe e malgrado l'avessi
visto proprio su me stesso, ancora non ero in grado di percepire
perfettamente. Quel qualcosa aveva un nome e quel nome era Sonja. Ne aveva
paura anch'io, ovviamente. Come non aver paura di un essere umano con quelle
straordinarie capacità? Ma evidentemente, contro di me l'avevo vista
all'opera con il freno a mano tirato e non avevo ancora la percezione esatta
di ciò che era in grado di fare. Si, sapevo che poteva uccidermi e che non si
sarebbe fatta scrupolo di farlo, ma non riuscivo ad avere tutto quel terrore
che avevano i miei compagni di sventura. O meglio, quel terrore era mascherato
da una certa ammirazione che provavo per quella donna e da poliziotto mi
vergognavo di provare ammirazione per un'assassina senza scrupoli, ma era
quello che sentivo realmente. Ne ammiravo la bellezza, ne ammiravo la
sensualità e non per ultimo, ne ammiravo la potenza e questa sensazione non
mi piaceva per niente.
Scendemmo le scale e i nostri compagni erano già quasi tutti nell'enorme
cucina. Notai Alejandro ma contandoli mi accorsi che ne mancava uno. Come mai?
Mi guardai intanto intorno. L'arredamento era molto spartano. La cucina era in
legno massiccio e in mezzo c'era un tavolo rettangolare per una decina di
persone. I due addetti alla cucina che, come mi avevano detto, cambiavano ogni
giorno, avevano preparato alcuni pentoloni in stile militare e gli altri si
servivano da soli. Il tutto in perfetto silenzio, con tutti gli uomini con le
facce basse quasi da automi. Joe mi fece cenno di seguirlo e io mi avviai
verso i vari pentoloni, afferrai dei piatti e delle posate e mi versai della
minestra portandola al tavolo e quindi rifeci la stessa operazione versandomi
nel piatto una porzione abbondante di pollo e delle verdure. Almeno non sarei
morto di fame. Il sapore non era da ristorante a cinque stelle ma era
senz'altro discreto e iniziai a mangiare la minestra con molto appetito
" E' buona, no?" chiesi a Joe, più che altro per intavolare un discorso
" Si, è mangiabile" fu la breve risposta
" Senti amico, ma come mai siamo soltanto in otto? Più Alejandro
naturalmente"
" Manca Tony. Oggi lui e' l'addetto alla sorveglianza delle telecamere interne
ed esterne e ci sarà qualcuno che deve portargli da mangiare. Nessuno può
abbandonare nemmeno per un secondo la visione dei monitor"
" E come mai? Di cosa ha paura Sonja?"
" Ah, non dirlo a me. Ci sono telecamere interne ed esterne e, per quanto
riguarda quelle interne, ti ho già spiegato come servono per prevenire
eventuali fughe"
" Ci sono anche telecamere esterne?" feci sbigottito "E cosa c'è all'esterno?
Cosa si vede?"
" Ancora non sei convinto dell'impossibilità di una fuga, vero? Beh, non c'è
niente che possa interessarti, a meno che tu non sia un appassionato di
botanica. Alberi e ancora alberi"
" Era solo per curiosità" risposi meccanicamente ma la mia mente era già
proiettata oltre. Forse c'era un buco nel sistema di Sonja. Sapevo che
abitualmente erano in due a farsi carico della sorveglianza e mettersi
d'accordo con l'altro era impossibile, considerando il terrore che tutti
avevano delle conseguenze. Ma c'era appunto un momento in cui il sorvegliante
rimaneva da solo ed era quello dei pasti e quello poteva essere un ottimo
momento per organizzare un eventuale fuga. C'era ancora da capire in che modo
potessi scavalcare il muro e soprattutto la rete elettrificata ma il mio umore
era già migliorato al solo pensiero di aver trovato un'ipotetica via di fuga.
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