A tale from the crypt

di
genere
fantascienza

Il cane a guardia della cripta ringhiò, piano. E sul fondo delle sue pupille dilatate passò un guizzo d'inferno.
Rye'l Hiedh aveva paura di quel cane, come no. Una paura dell'altro mondo, a voler fare dell'umorismo di bassa lega.
Il mago non amava i cani, anzi, li detestava, dal lontano giorno in cui, da bambino, aveva incautamente abbracciato da dietro il levriero di sua nonna, ricavandone un morso in piena faccia. A un soffio dall'occhio destro, per la precisione. Cani idioti, i levrieri. Idioti, isterici e maligni.
E quindi…
Ma Rye'l Hiedh continuava ad avanzare ugualmente fra le tombe, incespicando nelle radici secolari che ogni tanto spuntavano qua e là fra le lapidi, verso quello specifico e di certo infernale cane, che ora scopriva le zanne bavose in un ringhio più pronunciato. Doveva andare avanti, perché a questo, a questa notte, era stato predestinato.

Lui, Rye'l Hiedh di Rye, mago scarlatto di terza classe, era stato formato e cresciuto per quello che avrebbe fatto in quella particolare notte.
Era, si può dire, vissuto per quello. E vissuto neanche poi tanto malaccio, tutto considerato, visto che tra i suoi fratelli e sorelle lui era l'unico sopravvissuto: i suoi due fratelli erano morti entrambi nella battaglia di Tawn, e delle sue sorelle una era prematuramente perita di parto e l'altra era stata rapita due anni prima dal solito orco di passaggio, e nessuno ne aveva saputo più nulla. Rye’l se ne era invece rimasto pacifico a guardarli partire, gli uni bardati per la guerra, l'altra per il matrimonio, rincantucciato nel suo posticino nelle segrete, in compagnia del suo ammuffito maestro Vlaulech di Chlaban, a tentare esperimenti ed a mandare a mente incantesimi.
Peste e colera se in quel momento, mentre camminava dritto verso le fauci di quella creatura mostruosa, grossa più o meno come un vitello, gliene veniva in mente uno solo di utile: chessò, una magia di paralisi, o almeno del sonno, che gli permettesse di liberarsi di quel pericolo. Macchè, più si sforzava, più gli si presentavano alla mente degli incantesimi-frescaccia assolutamente inadatti alla bisogna: magie callifughe, antitarme, o contro la ritrosia delle vergini continuavano a disegnarsi perfettamente nella sua testa, mentre ogni altro ricordo pareva svanito.
Quando ormai il fiato fetido della fiera gli lambiva i polpacci, sotto le sue dita contratte in fondo ad una tasca si era materializzato un sacchetto di pelle… un gesto, un lampo, e il cane giaceva guaendo al bordo del suo cammino, rotolandosi a terra come un indemoniato.
Alla fine, una bella manciata di polvere pruriginosa serviva sempre al suo scopo; non sarà stata una raffinatezza, ma chi sarebbe mai venuto a saperlo?!
Bene, il guardiano era sistemato. E adesso…?

Adesso davanti a lui si apriva, come un immenso sbadiglio di pietra, la cripta dove avrebbe dovuto andare incontro al suo destino… e che destino, poi!
Quanto sarebbe accaduto di lì a poco nella cripta non accadeva da molti anni, anzi, da molti decenni, insomma, facciamo più o meno da un secolo, tanto per capirci sull'eccezionalità di quella particolare notte.
Rye'l Hiedh tirò un profondo respiro, saturandosi i polmoni di un misto di aria notturna e di un terragno, muffoso e più maligno sapore, e si grattò nervosamente il marchio bruno, a forma di luna calante, che portava impresso dalla nascita sul polso sinistro. Il mago riflettè velocemente, buttando un occhio alla posizione della luna, quella vera, nel cielo, che gli avrebbe indicato il momento preciso in cui calarsi nella tomba.
Rifletteva e si ripassava mentalmente i complessi incantesimi ed i gesti precisi che presto sarebbe andato a compiere nell'oscurità spessa e minacciosa che lo attendeva in fondo alle scale.
Certo, i maligni avrebbero potuto trovare da ridire sulla solennità con la quale il mago si accingeva ad affrontare un evento che, gira che ti rigira, si sarebbe potuto comodamente definire una «marchetta esoterica».
La prosaica realtà dei fatti era infatti che lui, il predestinato, era per l'appunto predestinato a congiungersi carnalmente con una creatura ultraterrena, da lui stesso previamente evocata, e che tale connubio, a causa del verificarsi di una serie assai complessa di magiche coincidenze che non sto qui a riportare, avrebbe comportato un accrescersi quasi illimitato dei suoi poteri soprannaturali. Ai lettori immaginare quanto meravigliosa, dopo l'acquisizione di tanto smisurati poteri, sarebbe stata la sua vita.

Inutile nascondere che le cose, però, non erano così semplici come qualche ignorante di queste fantastiche vicende potrebbe forse supporre.
Una prima incognita, e di non poco conto, era costituita dalle sembianze dell'essere che si sarebbe materializzato nella cripta al suo comando. Si narrava, infatti, di non pochi predestinati che nel passato avevano allegramente buttato alle ortiche il proprio futuro immortale alla prospettiva di doversi spupazzare creature interamente ricoperte di bolle verdastre e purulente, o dotate di alcune braccia o gambe supplementari, o infine munite di organi sessuali dall'uso dolorosamente complesso.
E poi… triste a dirsi ma assai vero, vi era stato chi, pur sottoponendovisi con entusiasmo, non era sopravvissuto alla bisogna. Rye'l Hiedh aveva letto con raccapriccio di un tal negromante che in passato, dopo una assai soddisfacente zompata sotterranea con un'amazzone biondocrinita e dalle sovrumane doti amatorie, era stato poi da lei smozzicato brano a brano, proprio a cominciare dall'uccello, che con incauta fiducia le aveva abbandonato fra le labbra sperando in tutt'altro trattamento.

Sia quel che sia, alla vista della luna che declinava dietro un immenso grifone di pietra, segno che il momento giusto era ormai giunto, il nostro si riscosse da tali deprimenti considerazioni e si accinse a penetrare nella cripta, alla tenue luce del proprio bastone da passeggio, intagliato di rune.
L'aria si fece ben presto più calda e soffocante.
Rye'l giunse, dopo una lunga scalinata scivolosa e nera come la pece, in una sala rettangolare dalle pareti istoriate di lapidi ricoperte di polvere. Al centro della cripta, un sarcofago marmoreo faceva bella mostra di sé, scintillando quietamente alla luce prodotta dal bastone.
Era lì, su quell'arca, sulla sua liscia e immota (e dannatamente scomoda) superficie, che tutto sarebbe accaduto. Era lì che avrebbe collocato le fiale contenenti disgustose e traslucide sostanze, pronto a versarle sopra di sé o in terra, a seconda delle varie fasi dell'incantesimo.
Era lì che ora appoggiava il proprio mantello, il giustacuore e la sopravveste, e il tremolante lume ad olio che andava accendendo. Era lì, in quella particolare e magica notte, che si sarebbe deciso il suo destino.
Ed era lì, diciamocelo, che se tutto andava per il verso giusto, si sarebbe fatto finalmente una scopata coi controfiocchi, visto che a forza di convivere con un negromante settantenne, quasi non si ricordava nemmeno più come ci si fanno le seghe.

L'evocazione del demone fu lunga e faticosa, anche a causa della temperatura assai calda della cripta. Rye'l sudava copiosamente, mentre alternava un monotono salmodiare a comandi secchi, quasi latrati, o gesti ampi a impercettibili movimenti delle membra. L'imbarazzo provato prima, all'esterno, era svanito. Ogni parola, ogni formula trovava ora magicamente il suo posto, si srotolava perfetta dalla sua memoria. Il suo torso, nudo e febbricitante, era scivoloso di olii e di sangue animale, che a rivoli si condensavano, insieme al sudore, lungo la cintola, rendendola nera.
E, improvvisamente, fu silenzio. Tutto era stato detto. Ogni gesto, compiuto. Non restava che aspettare.

La luce della lanterna tremolò, abbassandosi; poi, anziché spegnersi, divampò in modo innaturale, rischiarando a giorno la cripta fino agli angoli più nascosti.
Era proprio lì, in uno degli angoli più remoti, che «qualcosa», turbinando, si andava solidificando. Qualcosa di scuro e sinuoso, pareva. «No, non un serpente!» Rye'l pensò tra sé. «Per la barba forforosa del Venerabile! A scoparmi un serpente non gliela faccio mica…».
Rye'l brandì il bastone e si avvicinò alla creatura che si stava ergendo in tutta la sua statura. Statura notevole, c'è da dire, per una donna. Sì, perché, con enorme sollievo del nostro mago, che andava confusamente ringraziando tutti gli dèi degli Inferi, ciò che si stava alzando, demone o non demone che fosse, sembrava in tutto e per tutto una sventola che non finiva più.
Coperta a malapena da un indumento scaglioso e violaceo, che pareva stare insieme solo grazie ad una complicata serie di legacci, davanti a lui stava una donna alta e assai formosa, dalla carnagione pallidissima e dai lunghi capelli rossi. E con una faccia decisamente poco entusiasta, va detto. Anzi, decisamente schifata.
"Ah…!" esalò, con una voce rauca che rivelava scarsa dimestichezza con una gola umana. "Sei tu il prescelto, eh? Mi si ricoprisse il culo di pustole se mi lascio convincere un'altra volta da Grimònio. «Ma dai», mi fa, con quella sua vocetta da castrato, «e vacci tu, stavolta. Un demone mica può passare l'eternità a star seduto sul torace dei neonati per far passare il tempo»…". Il demone iniziò a girare intorno a Rye’l, nella luce che andava nuovamente smorzandosi. "«Ma sì», mi dice quello strafottuto figlio di puttana, «vedrai che ti diverti… i mortali sono pieni di risorse, alle volte»…! Bah. Ce ne fosse mai stato uno, maschio o femmina, che mentre lo maneggiavo non si sia rotto!". L'essere dalle forme femminee continuava ad osservare Rye'l, colpendolo a tratti col piede calzato di cuoio intrecciato. Poi si fermò di fronte a lui a braccia conserte, un ghigno annidato fra i denti candidi e i canini appuntiti, e scrutandolo dall'alto in basso concluse: "Mortali… puah!".

Rye'l aveva i brividi, e nello stesso tempo sentiva un gran caldo. La sua mente, poi, era assalita da sentimenti contrastanti. Il demone era apparentemente più pericoloso di un serpente velenoso… ma nello stesso tempo, aveva l'aspetto della femmina più attraente che Rye'l avesse mai potuto immaginare.
I capelli, rossi e aggrovigliati lungo la schiena della creatura, facevano risaltare la carne bianca e soda, che sembrava voler balzar fuori, in una serie deliziosa di curve morbide, dall'abito sbrindellato. Nel muoversi intorno a lui, il demone aveva messo ampiamente in mostra i muscoli affusolati delle cosce, la rotondità perfetta dei seni, quasi del tutto scoperti, e di un sedere a malapena costretto dalla stoffa.
"Co… ahem… qual è il tuo nome, demone ultraterreno?".
"Il mio vero nome ti lacererebbe la gola, se tentassi di pronunciarlo, umano. Puoi chiamarmi Ailinn, se vuoi. Si chiamava così una ragazzotta che possedetti, una volta. Fu divertente farle fare alcune… cose. Ma poi arrivò un prete rompicoglioni e fece così tanto chiasso che fui costretta ad andarmene. E tu, come ti chiami?".
"Rye'l Hiedh, demone. Io sono l'Unico, il Prescelto, colui che i secoli hanno atteso…".
Ailinn sì arrotolò pigramente una ciocca intorno all'indice, sbadigliando.
Rye'l riflettè in fretta. Era evidente che, o aveva sbagliato qualcosa nell'incantesimo di evocazione appena finito, oppure il suo decrepito mentore gli aveva raccontato una manica di frescacce. L'ipotesi che l'essere evocato potesse essere pericoloso per la sua sopravvivenza l'aveva ben tenuta presente, ma che, una volta che questo si fosse rivelato di aspetto umano (e anche incredibilmente attraente), e una volta che lui si fosse palesato per il predestinato, la creatura potesse continuare a guardarlo come se fosse stato un bacherozzo sul muro… beh, questo non l'aveva affatto preso in considerazione.
Anni ed anni ad imparare complicate formule per portarla via dal mondo di là, e manco una dritta su come comportarsi con la creatura quando ce l'avesse avuta di fronte. Comportamento ingenuo, e forse terribilmente pericoloso, pensò Rye'l mentre la rossa si avvicinava, facendo sussultare i legacci che tenevano insieme la sua mise.
"Vabbè, visto che mi sono scomodata ad arrivare fin qua, presumo che si debba… come dire… consumare il consumabile…", un lampo di denti candidi come quelli di un lupo.

Rye'l rabbrividì, di nuovo, mentre la rossa lo spingeva contro la lapide con un ginocchio meravigliosamente tornito. Il mago indietreggiò, fino ad avvertire la fredda superficie contro la schiena nuda. Osservò ipnotizzato l'agile mossa con cui il demone balzò sopra il sarcofago, accovacciandosi poi al suo fianco. Ne avvertiva il fiato caldo e stranamente vegetale; una mano affusolata, dalle lunghe unghie pallide, gli si inerpicò sul braccio, facendogli rizzare i peli.
"Se posso permettermi, mago, non è questo il momento di essere timidi…" sussurrava il demone vicino a lui, scalciando a terra gli stivaletti intrecciati.
Rye'l si issò goffamente accanto a lei, e tese una mano verso lo scaglioso corpetto dell'essere. Il contatto con l'indumento lo fece trasalire, ma in modo piacevole; il tessuto era caldo come se Ailinn fosse in preda alla febbre, ed emanava un sentore speziato e animale, quasi fosse stato vivo. Rye'l tirò un respiro profondo, e l'aroma gli saturò naso e polmoni, dandogli il capogiro.
Le sue dita lottarono brevemente coi legacci, e poi lo strano corpetto cadde a terra, in un sospiro di stoffa. Il demone taceva, osservandolo con gli occhi socchiusi in modo indecifrabile. Poi gli si avvicinò ulteriormente, la carne pallida e succosa del tronco a un millimetro dal suo fianco. I seni gli si schiacciavano su una spalla, imbrattandosi del suo sudore ormai raffreddato, bagnandosi di olio e sangue, in strie lucide. Lui allungò entrambe le mani, continuando a respirare forte l'odore di lei, animale e vegetale insieme; le macchie d'olio sotto le sue dita si allargavano sulla pelle di Ailinn, che prese a strusciarsi su di lui, premendogli addosso.
Il demone abbassò la testa dalla criniera leonina, fiutandogli il petto; il respiro bollente gli fece rizzare i peli e risvegliare il sangue, che prese a pompargli veloce nella testa e nell'inguine. Le dita del mago danzavano sulla schiena muscolosa, fra i lacci che stringevano quanto restava dell'abito-pelle, frugando.
Il viso selvaggio di Ailinn salì verso quello di Rye'l; la sua lingua, piccola e guizzante, gli risalì la linea della mascella, dandogli un nuovo brivido. Occhi negli occhi, le affondò nella bocca, avvertendone i canini aguzzi, bevendone la saliva profumata che gli colava sul mento e giù lungo il collo.
Lunghe scariche di eccitazione, miste a qualcos'altro, una sorta di prurito doloroso, gli attraversavano le ossa: la bocca del demone gli tormentava il collo, mentre le mani trovarono le natiche morbide di lei.

Rye'l si mise in ginocchio, le rune del sarcofago che gli premevano crudamente contro le rotule. Tirò Ailinn contro di sè, guardandola scendere di nuovo, lingua denti e fiato, verso le brache macchiate. Sentì la lingua del demone insinuarsi serpentina sotto la stoffa, guadagnare la sua carne già gonfia, esitare. Affondò le mani nella matassa rossa sul suo ventre, poi una mano dolorosa di unghie lacerò la sua cintura.
Rapidamente il suo cazzo scomparve nella bocca del demone: e al contatto con quel pozzo caldo e umido una nuova ondata dolorosa e inebriante gli si avvitò lungo la spina dorsale. Ailinn lo succhiava e lo tormentava con i denti, e Rye'l sentiva crescere la sua carne e la sua forza come non avrebbe creduto possibile; si abbandonò all'urgenza che montava turbinando… fino a quando lei, all'improvviso, lo lasciò, ansimante, per accovacciarglisi davanti, di spalle, il sesso gonfio esposto e la testa china fra le braccia.

Rye'l tremava: niente e nessuno avrebbe potuto trattenerlo dall'unirsi al demone, dall'immergersi di nuovo in quell'entusiasmante lago di potere e piacere. Le aprì le cosce con mani nuove, più grandi e più forti. Godette del suono lamentoso che venne da Ailinn, quando vi immerse le dita. La allargò e penetrò in entrambe le aperture, contemplandosi l'uccello eretto, che oscillava dolcemente contro la carne della creatura; lo accarezzò contro la schiena bianca, poi afferrò i fianchi morbidi e fu in lei.
Il colpo quasi lo tramortì: piacere e dolore lottavano nelle sue viscere, annodandole; Rye'l si spingeva sempre più avanti, scuotendo il corpo dalle sembianze mortali del demone che sibilava, pregava e bestemmiava in lingue a lui sconosciute. Ne stringeva i seni fra le mani, schiacciandoli, , con l'impressione di riempirsi e svuotarsi in quel corpo accasciato sulla sua schiena ad ogni spinta… fino a ché, esaurita ogni voglia, si guardò scivolare fuori e accucciarsi sul pavimento.
Rye'l si sentiva inebetito; era stupito, più che dalla nuova forza che gli si andava radunando nelle membra, da una inedita, stupefacente consapevolezza di sé e del proprio corpo. Vedeva chiaramente la punta raggrinzita e stillante del proprio uccello, rannicchiata nei calzoni; percepiva il luminoso snodarsi delle viscere nel ventre. I polmoni sbocciavano allegri nel suo petto come siepi di biancospino e nel suo cervello, oh, nel suo spugnoso, goloso cervello, i pensieri si tuffavano e emergevano, simili a languide trote.

Un suono raschiante lo distolse a stento dalla gloriosa contemplazione di sé stesso: Ailinn gli si parava davanti, nuda, sorridente e impudica come pochi istanti prima, e un impeto di desiderio gli tremò di nuovo nell'inguine. Solo che ora la sua sagoma pareva divenuta più trasparente, come se sotto la carne gonfia e bianca scorresse qualcosa. Qualcosa di verdastro e torbido, turbinante sotto la pelle. Qualcosa che le gonfiava a tratti i lineamenti, le braccia, la schiena, in bozzi grumosi ma flaccidi.
Il demone rideva: il suono raschiante che sentiva veniva dalla gola che aveva baciato e leccato, e che ora trascolorava di un livido violaceo. Si voltò, pronto a scappare. Ma le gambe non si mossero, anzi, non gli parevano neanche più le sue, due tronchi indifferenti ai frenetici comandi della sua mente prima tanto luminosa.
"Ma co… cosa mi hai fatto?".
Ailinn scosse la massa dei capelli, che le sfrigolò sulle spalle.
"Io? Mah, niente. Sono venuta, come mi hai chiesto. Ti ho permesso di montarmi, come era scritto. E ti ho dato potere, come era pattuito. Ma ho aggiunto una piccola clausola al contratto, così, sai, per divertirci… ho deciso che godrai dei tuoi nuovi poteri solo una volta uscito da qui. SE uscirai vivo di qui, si intende".
Il demone si accucciò davanti a Rye'l, strusciandosi contro le sue gambe ormai insensibili. Il mago percepiva le spire potenti della mente di Ailinn arrotolarglisi sempre più contro il tronco. Ormai anche le mani erano bloccate, una accartocciata in una tasca e l'altra lungo il fianco.
"Ma… ma tu non puoi fare questo. Io ho letto i sacri testi e questo non è scritto da nessuna parte. Tu non hai rispettato i patti. Questo è…".
"Un tradimento? Beh, sì, possiamo anche vederla così, suppongo. Oh, sai, le donne… tradiscono tutte, prima o poi, nevvèro?".
Rye'l cercava di pensare velocemente. Avvertiva, in lontananza, il suo nuovo, luminoso potere intatto e disponibile, ma schermato dalla volontà del demone, che ormai quasi trasfigurato in un essere ferino, percorreva con le unghie il suo torace nudo, leccandosi le labbra.
Rye'l pensava, supplicava e blandiva, le mani contratte, le dita… che alla fine si chiusero intorno ad un sacchettino di pelle annidato nella tasca.
Ailinn iniziò a gonfiare e a mutare definitivamente, le braccia e le gambe si rimpicciolivano, pronte a rientrare in un corpo possente, scaglioso e serpentino, chiazzato di verde e viola, una cresta rossa sulla schiena.

Rye'l raccolse le forze, si inarcò e con uno sforzo per lui sovrumano sparse il contenuto del sacchetto sulle membra del demone, che urlò. La sorpresa sottrasse per un istante il mago al controllo del mostro, e lui fu più che pronto ad approfittarne. Salì di volata le scale, ringraziando per la seconda volta quella sera la polvere pruriginosa, che un'altra volta lo aveva salvato.
Ebbe appena la percezione di un furioso turbinìo sul pavimento della cripta: mani, zanne e unghie che artigliavano la pelle, ancora urla ed un lungo, terribile strappo.
Chiamò a raccolta i suoi nuovi poteri, e con un solo gesto sigillò l'apertura della cripta, che lentamente, silenziosamente, implose sull'essere, sprofondandolo in un grasso sbadiglio di terra.
Rye'l respirò, i nuovi sensi distesi intorno al lui nella foresta. Percepì la pioggia ancora prima che iniziasse a cadere, ne bevve ogni goccia tiepida con la bocca spalancata, godendone il sapore. Allargò le braccia e chiuse gli occhi, il capo teso all'indietro, gli occhi accecati dal buio e dalla pioggia, ascoltando. Godendo.

Il cane a guardia della cripta ringhiò, piano. E sul fondo delle sue pupille dilatate passò un guizzo d'inferno.
scritto il
2024-08-01
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