Ridotta in schiavitù, venduta (parte 9)
di
Kugher
genere
sadomaso
Finalmente Frank ricevette la chiamata da sua moglie, Kalifa.
Dal tono della conversazione la schiava, adibita in quel momento quale sgabello per le gambe allungate, capì che anche la moglie era d’accordo per l’acquisto di una schiava francese.
Anche lei espresse la sua preferenza per la schiava 26enne che, benchè un po’ vecchiotta, aveva dalla sua il grado 5 di pedigree. Lei era un po’ più sensibile di suo marito a questi particolari che interessavano l’alta società di quella città africana.
Helga non pensava certo alla sorte di quella nuova schiava venduta di prima mano. Ormai per lei la schiavitù era cosa ordinaria.
Fu solo molto sollevata quando il Padrone, stanco di quella posizione, la fece stendere di schiena davanti alla poltrona e la usò per appoggiarci sopra i piedi.
Gli era sempre piaciuta quella schiava, molto bella, calda, si muoveva a 4 zampe in un modo meraviglioso e sapeva usare meravigliosamente la bocca.
Durante la penetrazione riusciva a contrarre la figa quasi indovinasse il momento giusto, amplificando il piacere di chi la stava usando.
Non fosse stata una schiava d’albergo, l’avrebbe acquistata volentieri, pur senza pedigree.
Tuttavia la sua posizione sociale non gli avrebbe consentito di avere una schiava usata e strausata da tanti Padroni.
Ripensò un attimo all’immagine della schiava che aveva attirato la sua attenzione ritenendo che non avesse proprio nulla da inviare al suo attuale poggiapiedi umano, anzi, forse sarebbe stato il contrario.
Il prezzo d’asta di partenza era molto alto, ma le informazioni contenute nel depliant erano ottime.
Questa era una differenza sostanziale tra le aste a Parigi e quelle in Africa, alle quali aveva partecipato.
Il depliant era un’ottima idea. Conteneva alcune informazioni sulla merce in vendita e, soprattutto, alcune di esse erano una graduazione su una scala da 0 a 5 e, si sapeva, le valutazioni delle schiave nelle aste francesi ed italiane erano eccellenti e assolutamente veritiere.
Faceva parte del buon nome che aleggiava intorno alle merci di quei paesi.
Questa aveva tante cose ottime: laureata, appartenente a famiglia ricca, pedigree grado 5, schiava di lusso. Le votazioni accanto alle voci “eleganza, classe e capacità sessuali” erano molto alte.
Il prezzo elevato sembrava valesse tutto e si aspettava di dover far fronte a molti rilanci.
I soldi non erano un problema per sua moglie e lui, tuttavia non aveva intenzione di pagare un prezzo spropositato.
In alternativa aveva individuato altra merce interessante, sempre col pedigree grado 5, laureate ma con una votazione inferiore per il resto.
In Africa Frank era stato, unitamente a sua moglie, a qualche asta di schiave e schiavi.
In quelle occasioni venivano vendute anche schiave di varie nazionalità, bianche, nere, orientali, per tutti i gusti dei Padroni.
Le nere per la maggior parte erano africane, non perché migliori delle schiave sudamericane ma, semplicemente, perchè era gradito e di moda tra i Padroni avere schiave dello stesso continente o, meglio ancora, dello stesso stato Africano in cui risiedevano.
Alcuni perchè avevano modo di sentirsi superiori o anche solo più fortunati rispetto alle connazionali, altri per il perverso piacere di frustare una persona della stessa nazione.
Ambitissime erano le schiave o gli schiavi conosciuti prima della loro riduzione in schiavitù (amici, colleghi o semplici vicini di casa).
Questa circostanza o piacere era comune a tante parti del mondo nelle quali la schiavitù era diventata legale.
Facendo il confronto, Frank restò affascinato dall’ambientazione delle aste francesi, almeno per quanto veniva proposto nei depliants.
La sera prima era stato raggiunto dalla moglie, Kalifa che, vista comunque l’importanza dell’acquisto, aveva voluto essere presente anche perché, si sa, dal vivo le impressioni ricavate da un freddo depliant avrebbero potuto essere smentite.
Era arrivata la sera tardi, dopo cena, giusto il tempo di una doccia due chiacchiere col marito e poi a letto, a farsi cullare e rilassare dalla lingua della schiava inginocchiata a terra dedita a leccarle la pianta dei piedi, cosa che aveva sempre amato e trovava rilassante.
La schiava era brava. Leccò la pianta del piede e, poi, prese in bocca dito per dito, accarezzandolo con le labbra morbide. Smise di leccare solo dopo che fu certa del passaggio al sonno della Padrona. Dopodiché si accucciò a terra ai piedi del letto dove passò la notte.
Da quando era stata acquistata dall’albergo, di seconda mano, quasi mai aveva dormito in un letto. Al massimo in un giaciglio morbido ma sempre a terra. Quando era appartenuta al suo primo Padrone invece il letto non le era stato fatto mancare. Il suo proprietario adorava tenere il suo corpo caldo accanto al suo, di notte.
Verso mattina Helga si svegliò prima dei Padroni e attese che anche loro si destassero.
La schiava d’albergo era attenta al suo stato di servizio e voleva che i Padroni fossero contenti.
Al momento del check out veniva consegnato un test per testare il gradimento degli ospiti verso la struttura in generale ed in una delle voci c’era anche il servizio della schiava.
I suoi voti erano sempre abbastanza alti.
A lei non interessava il gradimento in sé, quanto l’assenza di punizioni da parte del direttore dell’albergo.
Negli anni aveva imparato ad intuire i piaceri degli ospiti.
Il Padrone occupava quella stanza da qualche giorno e, quindi, aveva già avuto modo di apprezzare il suo servizio.
Le restava adesso da soddisfare anche la Padrona, al fine di evitare che il lavoro fatto con l’uomo venisse vanificato dal malcontento della moglie.
Attese che la donna si risvegliasse appena e, nel momento ancora delicato del dormiveglia, quando si è cullati dal piacere del sonno che trattiene ancora a sé, volendo ritardare il passaggio alla veglia, cominciò con gran delicatezza a leccarle la pianta dei piedi.
Lavorava usando la lingua piatta, con gran leggerezza, quasi fossero morbide carezze.
La sera prima aveva capito che la Padrona aveva gradito quando le dita dei piedi erano state avvolte dalle labbra morbide e ripeté l’operazione, cercando di usare maggior delicatezza.
Ebbe modo di capire che la sua lingua venne apprezzata in quanto, passata definitivamente alla veglia, la Padrona indugiò nel piacere di quell’atto di sottomissione della giovane bianca che tanto le dava la sensazione del potere del suo dominio.
Il piacere ricevuto ai piedi denunciava l’abilità nell’uso della lingua che, ad eccitazione salita, volle sul suo sesso, ordinandole di salire sul letto e di dedicarsi a leccarle la figa.
Iniziò con lenta delicatezza per aumentare il ritmo al pari della crescente eccitazione della Padrona, fino a portarla all’orgasmo, intuendo quanto ritardare e quanto accelerare.
La donna fu evidentemente soddisfatta in quanto, a piacere esploso, nel momento del conseguente rilassamento, destinò alla schiava una carezza sui capelli, quasi a complimentarsi per la sua bravura.
Quale completamento del suo servizio, avendo intuito ormai l’inutilità della sua presenza nel letto, Helga scivolò a terra, stendendosi al lato del letto, in modo da fungere quale scendiletto quando Kalifa avesse deciso di alzarsi.
Aveva capito che questo uso era molto gradito dai Padroni e lo metteva in pratica spesso.
La Padrona si cullò ancora nel letto per una mezz’oretta, evidentemente stanca per il lungo viaggio del giorno prima.
Helga la sentì muoversi e la vide mettersi seduta sul bordo del letto per poggiarle sopra entrambi i piedi quale stuoino umano.
Si alzò su di lei, schiacciandola con il suo notevole peso e provando un rinnovato piacere nel sentire sotto i suoi piedi il fragile corpo di una donna bianca, relegata ad essere solo un tappeto per il suo potere.
La schiava era brava, sapeva come soddisfare i Padroni. Così, quando la donnona scese dal suo corpo sofferente, si mise su un lato e strisciò quel tanto per leccarle i piedi dopo che aveva indossato le ciabattine da camera, facendole così sentire tutta la sua devozione, sempre gradita dai Dominanti.
Voleva sempre ottenere il massimo dei voti in quanto aveva paura di essere degradata a schiava ordinaria, essendo comunque abituata ad essere un arredamento fisso della suite che non veniva sempre affittata.
Così la seguì docilmente a 4 zampe e si accucciò a terra fuori dal bagno attendendo che uscisse, come se fosse una cagnolina fedele.
Intuì il piacere della Padrona e, quindi, la seguì tutto il tempo come una cagna, sempre pronta ad adorare i suoi piedi.
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krugher.1863@gmail.com
Dal tono della conversazione la schiava, adibita in quel momento quale sgabello per le gambe allungate, capì che anche la moglie era d’accordo per l’acquisto di una schiava francese.
Anche lei espresse la sua preferenza per la schiava 26enne che, benchè un po’ vecchiotta, aveva dalla sua il grado 5 di pedigree. Lei era un po’ più sensibile di suo marito a questi particolari che interessavano l’alta società di quella città africana.
Helga non pensava certo alla sorte di quella nuova schiava venduta di prima mano. Ormai per lei la schiavitù era cosa ordinaria.
Fu solo molto sollevata quando il Padrone, stanco di quella posizione, la fece stendere di schiena davanti alla poltrona e la usò per appoggiarci sopra i piedi.
Gli era sempre piaciuta quella schiava, molto bella, calda, si muoveva a 4 zampe in un modo meraviglioso e sapeva usare meravigliosamente la bocca.
Durante la penetrazione riusciva a contrarre la figa quasi indovinasse il momento giusto, amplificando il piacere di chi la stava usando.
Non fosse stata una schiava d’albergo, l’avrebbe acquistata volentieri, pur senza pedigree.
Tuttavia la sua posizione sociale non gli avrebbe consentito di avere una schiava usata e strausata da tanti Padroni.
Ripensò un attimo all’immagine della schiava che aveva attirato la sua attenzione ritenendo che non avesse proprio nulla da inviare al suo attuale poggiapiedi umano, anzi, forse sarebbe stato il contrario.
Il prezzo d’asta di partenza era molto alto, ma le informazioni contenute nel depliant erano ottime.
Questa era una differenza sostanziale tra le aste a Parigi e quelle in Africa, alle quali aveva partecipato.
Il depliant era un’ottima idea. Conteneva alcune informazioni sulla merce in vendita e, soprattutto, alcune di esse erano una graduazione su una scala da 0 a 5 e, si sapeva, le valutazioni delle schiave nelle aste francesi ed italiane erano eccellenti e assolutamente veritiere.
Faceva parte del buon nome che aleggiava intorno alle merci di quei paesi.
Questa aveva tante cose ottime: laureata, appartenente a famiglia ricca, pedigree grado 5, schiava di lusso. Le votazioni accanto alle voci “eleganza, classe e capacità sessuali” erano molto alte.
Il prezzo elevato sembrava valesse tutto e si aspettava di dover far fronte a molti rilanci.
I soldi non erano un problema per sua moglie e lui, tuttavia non aveva intenzione di pagare un prezzo spropositato.
In alternativa aveva individuato altra merce interessante, sempre col pedigree grado 5, laureate ma con una votazione inferiore per il resto.
In Africa Frank era stato, unitamente a sua moglie, a qualche asta di schiave e schiavi.
In quelle occasioni venivano vendute anche schiave di varie nazionalità, bianche, nere, orientali, per tutti i gusti dei Padroni.
Le nere per la maggior parte erano africane, non perché migliori delle schiave sudamericane ma, semplicemente, perchè era gradito e di moda tra i Padroni avere schiave dello stesso continente o, meglio ancora, dello stesso stato Africano in cui risiedevano.
Alcuni perchè avevano modo di sentirsi superiori o anche solo più fortunati rispetto alle connazionali, altri per il perverso piacere di frustare una persona della stessa nazione.
Ambitissime erano le schiave o gli schiavi conosciuti prima della loro riduzione in schiavitù (amici, colleghi o semplici vicini di casa).
Questa circostanza o piacere era comune a tante parti del mondo nelle quali la schiavitù era diventata legale.
Facendo il confronto, Frank restò affascinato dall’ambientazione delle aste francesi, almeno per quanto veniva proposto nei depliants.
La sera prima era stato raggiunto dalla moglie, Kalifa che, vista comunque l’importanza dell’acquisto, aveva voluto essere presente anche perché, si sa, dal vivo le impressioni ricavate da un freddo depliant avrebbero potuto essere smentite.
Era arrivata la sera tardi, dopo cena, giusto il tempo di una doccia due chiacchiere col marito e poi a letto, a farsi cullare e rilassare dalla lingua della schiava inginocchiata a terra dedita a leccarle la pianta dei piedi, cosa che aveva sempre amato e trovava rilassante.
La schiava era brava. Leccò la pianta del piede e, poi, prese in bocca dito per dito, accarezzandolo con le labbra morbide. Smise di leccare solo dopo che fu certa del passaggio al sonno della Padrona. Dopodiché si accucciò a terra ai piedi del letto dove passò la notte.
Da quando era stata acquistata dall’albergo, di seconda mano, quasi mai aveva dormito in un letto. Al massimo in un giaciglio morbido ma sempre a terra. Quando era appartenuta al suo primo Padrone invece il letto non le era stato fatto mancare. Il suo proprietario adorava tenere il suo corpo caldo accanto al suo, di notte.
Verso mattina Helga si svegliò prima dei Padroni e attese che anche loro si destassero.
La schiava d’albergo era attenta al suo stato di servizio e voleva che i Padroni fossero contenti.
Al momento del check out veniva consegnato un test per testare il gradimento degli ospiti verso la struttura in generale ed in una delle voci c’era anche il servizio della schiava.
I suoi voti erano sempre abbastanza alti.
A lei non interessava il gradimento in sé, quanto l’assenza di punizioni da parte del direttore dell’albergo.
Negli anni aveva imparato ad intuire i piaceri degli ospiti.
Il Padrone occupava quella stanza da qualche giorno e, quindi, aveva già avuto modo di apprezzare il suo servizio.
Le restava adesso da soddisfare anche la Padrona, al fine di evitare che il lavoro fatto con l’uomo venisse vanificato dal malcontento della moglie.
Attese che la donna si risvegliasse appena e, nel momento ancora delicato del dormiveglia, quando si è cullati dal piacere del sonno che trattiene ancora a sé, volendo ritardare il passaggio alla veglia, cominciò con gran delicatezza a leccarle la pianta dei piedi.
Lavorava usando la lingua piatta, con gran leggerezza, quasi fossero morbide carezze.
La sera prima aveva capito che la Padrona aveva gradito quando le dita dei piedi erano state avvolte dalle labbra morbide e ripeté l’operazione, cercando di usare maggior delicatezza.
Ebbe modo di capire che la sua lingua venne apprezzata in quanto, passata definitivamente alla veglia, la Padrona indugiò nel piacere di quell’atto di sottomissione della giovane bianca che tanto le dava la sensazione del potere del suo dominio.
Il piacere ricevuto ai piedi denunciava l’abilità nell’uso della lingua che, ad eccitazione salita, volle sul suo sesso, ordinandole di salire sul letto e di dedicarsi a leccarle la figa.
Iniziò con lenta delicatezza per aumentare il ritmo al pari della crescente eccitazione della Padrona, fino a portarla all’orgasmo, intuendo quanto ritardare e quanto accelerare.
La donna fu evidentemente soddisfatta in quanto, a piacere esploso, nel momento del conseguente rilassamento, destinò alla schiava una carezza sui capelli, quasi a complimentarsi per la sua bravura.
Quale completamento del suo servizio, avendo intuito ormai l’inutilità della sua presenza nel letto, Helga scivolò a terra, stendendosi al lato del letto, in modo da fungere quale scendiletto quando Kalifa avesse deciso di alzarsi.
Aveva capito che questo uso era molto gradito dai Padroni e lo metteva in pratica spesso.
La Padrona si cullò ancora nel letto per una mezz’oretta, evidentemente stanca per il lungo viaggio del giorno prima.
Helga la sentì muoversi e la vide mettersi seduta sul bordo del letto per poggiarle sopra entrambi i piedi quale stuoino umano.
Si alzò su di lei, schiacciandola con il suo notevole peso e provando un rinnovato piacere nel sentire sotto i suoi piedi il fragile corpo di una donna bianca, relegata ad essere solo un tappeto per il suo potere.
La schiava era brava, sapeva come soddisfare i Padroni. Così, quando la donnona scese dal suo corpo sofferente, si mise su un lato e strisciò quel tanto per leccarle i piedi dopo che aveva indossato le ciabattine da camera, facendole così sentire tutta la sua devozione, sempre gradita dai Dominanti.
Voleva sempre ottenere il massimo dei voti in quanto aveva paura di essere degradata a schiava ordinaria, essendo comunque abituata ad essere un arredamento fisso della suite che non veniva sempre affittata.
Così la seguì docilmente a 4 zampe e si accucciò a terra fuori dal bagno attendendo che uscisse, come se fosse una cagnolina fedele.
Intuì il piacere della Padrona e, quindi, la seguì tutto il tempo come una cagna, sempre pronta ad adorare i suoi piedi.
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